Il mercato dei videogiochi, con i suoi 138MLD di fatturato globale nel 2018 (fonte Newzoo) è sicuramente un segmento che non può più essere ignorato dai brand che vogliono parlare ai millenials e ai giovani della generazione Z; un’utenza nativa digitale difficile da raggiungere, che guarda sempre meno televisione ed è, per ragioni puramente anagrafiche, refrattaria all’advertising tradizionale.
Titoli come Pokemon GO, Fortnite, Overwatch, ma anche sportivi come Fifa, o sparatutto alla Call of Duty, hanno dimostrato come il gaming non sia solo legato a una nicchia specifica di appassionati, ma sia in grado di abbracciare un pubblico ben più ampio.
Fino a qualche anno fa, per i brand che cercavano di avvicinarsi al mondo del gaming è sempre esistita una sola via di entrata: l’accordo commerciale con lo sviluppatore che detiene i diritti di proprietà intellettuale, in modo da poter digitalizzare un prodotto/servizio del brand all’interno delle dinamiche ludiche del videogioco stesso. Cortocircuiti e convergenze…quasi quanto vedere un personaggio di pixel vestire la nuova collezione primavera/estate di Prada.
Ecco allora che si può assistere a veri e propri product placement digitali, come per esempio è successo in Final Fantasy XV dove i personaggi di gioco recuperano energia mangiando Cup Noodle della Nissin, o entrano in negozi che espongono il logo dell’ American Express.
Altre volte le collaborazioni sono state più complesse e hanno creato nuove modalità di gioco, come il recente caso di Disney/Marvel in partnership con Fortnite che ha permesso, per un tempo limitato, di impersonare Thanos, il cattivo degli Avengers.
Altre volte ancora invece il sodalizio è nato sul digitale ed è sfociato addirittura nel reale; gli scarpini da calcio in edizione limitata creati dalla Nike per il videogioco FIFA e venduti nei più esclusivi negozi retail sono lì a testimoniarlo.
Ca va sans dire, la complessità nella gestione dei diritti non sempre permette accordi commerciali di questo tipo. E anche qualora ci fosse il via libera, trovare una giusta modalità di rappresentazione del brand all’interno della simulazione digitale è un processo delicato.
Con la diffusione degli esport, la cosa è cambiata radicalmente…
ESPORTS: NUOVA FRONTIERA
Probabilmente ne avrete sentito parlare perchè gli esport, o sport elettronici, sono una delle buzzword del momento.
Vere e proprie competizioni di videogiochi organizzate in maniera professionistica e guardate da milioni di fan in tutto il mondo. League of Legends, Counter-strike, Overwatch, Clash Royale, Fortnite, etc etc sono tutti esempi di videogiochi con un settore torneistico ben sviluppato.
Ogni genere fa storia a sé (come poi succede nel mondo sportivo per intenderci), ma è indubbio che la diffusione dell’esport ha dato una spinta importante per l’avvicinamento di brand tradizionali al settore gaming.
Questo perché se prima per un brand l’unica (o comunque la più frequente) partnership percorribile era quella di andare dentro il videogioco, nel momento che il videogioco diventa competizione reale e riempie gli stadi, il brand può essere finalmente anche fuori e tutto intorno. Con attivazioni live!
Molti titoli multiplayer infatti hanno una propria lega competitiva che può essere monetizzata indipendentemente dal videogioco principale. Per fare un esempio la Nike ha appena chiuso un accordo di sponsorizzazione (valore $30M) con il campionato cinese di League of Legends per diventare fornitore di abbigliamento ufficiale.
Non c’è più bisogno renderizzare in pixel una maglietta Nike e farla indossare al personaggio di un videogioco, ora si fanno indossare le magliette direttamente agli atleti esport che si fronteggiano fra loro.
E’ tutto più reale, più materico.
La struttura variegata e modulabile dell’esport aiuta poi a trovare una possibilità per ogni esigenza e per ogni tasca.
Stringere una partnership per un campionato intero è un impegno che non mi convince? Sponsorizzo direttamente il singolo player o il singolo team (Red Bull).
Gli eventi esport che ci sono non rispondono alle esigenze commerciali del brand?
Non c’è problema, ne creo uno nuovo con le mie regole (Pringles)
Sono un marchio italiano che opera su base nazionale e non voglio buttare i soldi sponsorizzando un torneo che guarderanno principalmente in America? Ho la possibilità di investire sulla scena locale (Gazzetta esports challenge in collaborazione con Gillette) e via dicendo.
Un imbuto di possibilità a cui è possibile accedere a ogni livello.
Qualcuno vicino al marketing sportivo a questo punto potrà aver pensato <<ma è proprio come nello sport vero>>… e infatti non è un caso che si stia discutendo se includere o meno gli esport come disciplina ufficiale delle prossime olimpiadi.
Un ringraziamento speciale all’autore di questo guestpost, Filippo Pedrini, che si occupa di diffondere la cultura degli esport in Italia.
Lo potete seguire sui suoi canali, che trovate qui sotto, insieme alla sua bio, per saperne di più su questo interessante argomento.